In uno dei racconti del libro di Murakami Haruki Uomini senza donne, Kino è il protagonista che dà il nome alla storia, e che mostra la sua sofferenza con i tratti delle visioni di chi non riesce a nominare e a dare voce al suo sentimento d’amore ferito. Tradito dalla donna con cui vive, colta in flagrante con il suo collega, è incapace di soffrire veramente e reprime le sensazioni essenziali. Ma solo lui, Kino, avrebbe potuto aprire dall’interno le sue emozioni, e solo il suo cuore, il suo sentimento, sarebbe potuto arrivare alla sua mente bussando: toc, toc. E così è stato:
“Ancora una volta, quella visita era la cosa che più desiderava, e al tempo stesso più temeva. Proprio in questo consiste l’ambiguità, nell’occupare lo spazio fra due estremi.” (Murakami, 2015, p. 176)
Il trauma dell’abbandono amoroso, soprattutto se è avvelenato dal tradimento sessuale consumato con il miglior amico o collega, colpisce duramente l’autostima del soggetto e mortifica il sé amoroso. Come scrive lo psicoanalista Gustavo Pietropolli Charmet (2013, p. 71):
“La mortificazione del sé amoroso o sportivo o scolastico, comunque il sé più investito narcisisticamente e affidato alla manutenzione e tutela di un altro essere vivente, ritenuto perciò dotato di una sua bellezza autentica, è in realtà spesso fragilissimo e va in frantumi se ad attaccarlo è chi dovrebbe invece proteggerlo.”
In queste circostanze di umiliazione il sé dell’individuo è invaso da un sentimento di inadeguatezza, e spesso accade che i giovani si sentono brutti, nel corpo e nella mente, e per questo si ritirano dal mondo, dalle relazioni, dalla passione e dall’Eros. Nei soggetti estroversi, nei quali la dipendenza dall’amore dell’altro è un garante esterno in grado di conferire bellezza, nel momento in cui muore la coppia amorosa, lo specchio si spezza e il giovane, potenziale principe azzurro, ritorna all’equivalente animale nei panni del rospo, e la giovane, promessa regina, nelle umili vesti di Cenerentola. Questo accade, e sembra dare conferma al sentimento dell’amore come costruzione di sé attraverso la relazione che ognuno di noi ha con le figure significative del proprio mondo. Nel racconto di Murakami, sentire bussare alla porta del cuore come è capitato a “Kino”, è già una ipotesi avanzata e generosa, di colui che è in grado di assumere la fortuna della conquista e la colpa della perdita. Invece, quando la solitudine è isolamento, la mancanza del sentimento di sé si configura come condizione originaria di base, e prende le forme della propria bruttezza: un’immagine privata della capacità di evolversi perché non è stata trasformata dalla relazione d’amore, un vissuto difficile da intercettare, ma non impossibile da modificare nella relazione analitica.
H. Murakami, Uomini senza donne, Torino, Einaudi, 2015
G. Pietropolli Charmet, La paura di essere brutti, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2013