Alla storia femminile narrata nel film Carol (The Price of Salt), del regista Todd Haynes, Cate Blanchett e Rooney Mara hanno contribuito non poco, con l’intensità delle loro capacità interpretative, a restituire al nostro immaginario la forza della scelta di vita delle due donne. Se è vero che la mente femminile, quando è autentica e non condizionata da un Animus negativo, è maggiormente capace di aprirsi a nuove idee, a fare breccia nelle tradizioni e a legarsi in modo meno rigido ad una precisa Weltanschauung, questo avviene soprattutto nelle questioni che hanno a che fare con la passione, l’amore e la costruzione delle relazioni. Comunque un’attitudine non facile e spesso minata dagli aspetti negativi collettivi della cultura in cui ci troviamo a vivere, come vediamo anche nei nostri tempi a proposito delle Unioni civili. Una difficoltà che ritroviamo presente al tempo di una fiaba proveniente dalla regione storica del Turkestan, intitolata Il Cavallo Magico, che vorrei proporre con l’analisi di Marie-Louise von Franz, soffermandomi soprattutto sul punto che mi ha permesso l’associazione con la figura femminile protagonista del film: un autentico atteggiamento spirituale. Scrive Marie-Louise von Franz (2009, p. 46):
“L’Animus di una donna può dimostrare una certa rigidità, ma in genere la psiche femminile possiede l’elasticità necessaria ai processi di rinnovamento. Se la donna ha un complesso paterno positivo, non sarà contenta di occuparsi esclusivamente degli aspetti fisici e materiali della vita, ma sarà particolarmente capace di affrontare le grandi questioni spirituali della sua epoca. Per questo motivo, una donna che abbandona il percorso tradizionale per sperimentare aspetti di vita meno superficiali, proprio come fa l’eroina della nostra fiaba, diventa l’incarnazione di un principio femminile in grado di occupare una posizione alla pari con quella del principio dominante rappresentato dal re. Diventa regina.”
Ma vediamo un po’ cosa racconta la fiaba: Ci sono una bellissima Principessa, un Re che gioca d’astuzia per rendere impossibile la ricerca di un futuro principe consorte, un servo, uno spirito maligno chiamato Div, un cavallo magico, e una coppia di umili vecchi accoglienti. Manca la regina madre. Il padre nutre a tal punto una pulce (simbolo di animale parassita che succhia l’energia vitale e si comporta come un complesso autonomo) da farla diventare grande come un cammello e quindi la scortica e utilizza la pelle come prova da sottoporre ai corteggiatori. Solo colui che avrà scoperto l’origine del manto si unirà alla principessa, ma il segreto verrà rivelato da lì a poco dal servo del Re che fra sé e sé, ma a voce alta, commenta la pelle della pulce. Ad ascoltare in prossimità della palude vi è, infatti, uno spirito maligno, il Div, che si affretta a travestirsi da mendicante e a dichiarare al Re l’esito della prova. Ma il Re non ci sta a perdere il regno e non mantiene la promessa, a quel punto il maligno lancia in aria il suo cappello e fa scendere una nebbia così fitta da oscurare il cielo. Il Re, spaventato, ritorna sui suoi passi e consegna la figlia al mendicante, con la ricompensa della luce del sole grazie al cappello gettato a terra. La Principessa piange e si dispera nella solitudine della stalla, allorquando un cavallino le rivolge la parola suggerendole di portarlo con sé per un lungo viaggio, insieme ad un fiorellino rosa, del sale, un pettine e uno specchio. Questi oggetti serviranno durante la fuga per mantenere impegnato lo spirito maligno che la inseguirà senza posa. L’immagine del cavallo può rappresentare una forza bisessuale ma, in questo caso, con una energia carica di valenza femminile: quando manca un materno positivo, perché scomparso, morto o assente, spesso l’energia regredisce nella psiche, e a livello simbolico può apparire nei sogni, come nelle fiabe o nelle molteplici forme dell’arte, quale immagine animale dell’istinto soccorrevole presente nella personalità della figlia. E’ una rappresentazione di forza e di potere, e la coscienza ne beneficia quando si mette in relazione con questa energia sensibile, saggia e creativa. Osservando la prima parte della fiaba, notiamo gli aspetti che possono essere di aiuto al femminile per fuggire dall’Animus negativo (il Div) che vorrà raggiungerla e divorarla. Gli oggetti, gettati dietro di sé, serviranno infatti alla Principessa per creare ostacoli, se pur momentanei. Partire o lasciare andare le cose è un sacrificio che si compie come offerta ad un dio pagano, un rituale lontano dalla visione cristiana che impone di guardare direttamente il lato oscuro, perché il carattere numinoso della realtà è difficile da nominare, quindi serve riconoscere, da un punto di vista psicologico, il potere che ha e “darsela a gambe”. Uscire dal conflitto, dopo averlo sperimentato intensamente e con tutti i mezzi utili ad affrontarlo, significa affidarsi alla forza dell’istinto (il cavallo) unitamente alle parti rappresentate dall’Io (gli oggetti che il cavallino le consiglia di portare con sé). La Principessa offre aspetti della personalità femminile: il fiore, con le sue parti solari e quelle rivolte all’ombra, velenose e pungenti, che si trasformano in un rovo di spine; il sale, che si trasforma in deserto e in mare, e che ricorda il sapore amaro dell’acqua marina. L’amarezza è un tipico sentimento che proviamo nella delusione in amore, ma è anche un potente stimolo alla differenziazione quando la donna riesce a contenere gli impulsi emotivi, evolvendo con la riflessione e lo sviluppo del senso dell’ironia e dell’umorismo l’affetto della rabbia in saggezza; un pettine, che ricorda la capacità organizzativa del pensiero femminile, che si trasforma in montagna, quale mole di lavoro e impegno per nutrire un Animus spiccatamente critico; uno specchio, che si trasforma in un grande fiume, e che simbolicamente rappresenta una pausa di riposo e il flusso della riflessione ma, soprattutto, un mezzo per conoscere meglio le nostre reazioni e quelle che noi suscitiamo negli altri. A proposito dell’istinto della riflessione scrive James Hillman (1977, p. 115):
“Come Jung disse a proposito di quest’istinto: «Reflexio è un volgersi verso l’interno, con il risultato che, invece di un’azione istintiva, si hanno una successione di contenuti o stati derivati che possono essere chiamati riflessione o deliberazione. Talché al posto dell’atto coatto compare un certo grado di libertà […]. La ricchezza della psiche umana e la sua caratteristica essenziale sono probabilmente determinate da questo istinto riflessivo, la riflessione rimette in scena il processo di eccitazione e trasforma lo stimolo in una serie di immagini che, se l’impeto è sufficientemente forte, vengono riprodotte in una certa forma di espressione. Questo può avvenire direttamente, ad esempio, nel discorso, o apparire sotto forma di pensiero astratto, di rappresentazione teatrale o di condotta etica; o ancora, in un’impresa scientifica o in un’opera d’arte. […]. Attraverso l’istinto riflessivo, lo stimolo viene più o meno interamente trasformato in un contenuto psichico, cioè diviene un’esperienza: un processo naturale viene trasformato in un contenuto conscio. La riflessione è l’istinto culturale par excellence…»”.
Un vero sacrificio lo si compie con grande decisione, senza aver nulla in cambio. Nel film Carol questa forza è espressa dalla protagonista nel momento in cui decide di lasciare la figlia in custodia al padre chiedendo la sola possibilità di vederla. Rinunciando ad averla con sé, rinuncia al conflitto con il marito, scegliendo il rispetto per i suoi sentimenti e per la scelta di vita: audace per la Manhattan del 1952, quando la scrittrice Patricia Highsmith sotto altro nome, pubblica il romanzo “The Price of Salt” conosciuto anche come Carol, da cui ha il titolo la pellicola. Scrive Marie-Louise von Franz (2009, p. 42):
“Per poter fare questo dobbiamo essere mossi da una potenza superiore all’Io che viene esperita quale forma di imperativo interiore che ci fa sentire l’obbligo di compiere un sacrificio. Nel linguaggio della psicologia di Jung, diremmo che si tratta del Sé, il centro regolatore della psiche. C’è una sorta di identità fra chi offre un sacrificio e la cosa che viene sacrificata: diventiamo ciò che sacrifichiamo perché ciò che sacrifichiamo è un pezzo di noi stessi, e pars pro toto, ci rimettiamo al Sé.”
Un altro aspetto trasformativo comune nella storia di Carol e nelle vicende della protagonista della fiaba, è relativo alla funzione del senso del riposo e di abbandono in sé, come momento produttivo di libertà e tregua dall’incalzare dell’Animus negativo. Durante la fuga, la Principessa arriva davanti ad una capanna dove abitano una coppia di anziani che le offrono un giaciglio per la notte, ma esausta si addormenta all’esterno. Ed è lì che il falco di un giovane re, durante una battuta di caccia, si ferma sulla sua testa individuandola agli occhi dell’uomo come futura sposa, nonostante le umili origini che lei gli fa credere in quanto figlia della coppia degli anziani ospiti. Le due figure positive di padre e di madre, quale incontro umile, profondo, interiore, degli aspetti simbolici della saggezza dello spirito e dell’amore della natura materna, sono coronate dal falco. Ne Il libro dei simboli (2011, p. 252) leggiamo:
“Una delle primissime immagini di regalità in Egitto, e nella storia dell’uomo, è stata quella del falco, capace di percorrere lunghe distanze e di vedere lontano. […] Il falco era l’emblema del dio supremo o “lontano”, mentre il re era la rappresentazione e l’incarnazione terrena di quel dio (Frankfort, 37). […] Se in passato costruiva il suo nido nei punti più alti dei palazzi e dei templi dell’antico Egitto, oggi lo fa nei grattacieli dei centri urbani. […] Gli enormi occhi rotondi sono 30 volte più sensibili ai colori dell’occhio umano e sono muniti di una doppia fovea per una visione stereoscopica. […] Per la sua capacità di volare in alto, di percorrere lunghi tragitti e di vedere persino la luce ultravioletta, il falco è il messaggero mitico tra il mondo terreno e soprannaturale. […].”
Nel film, Carol, una donna che appartiene all’alta società, dopo la breve fuga d’amore con Therese e il ritorno in famiglia, ha fatto la scelta di sacrificare la convivenza con la figlia, divorziando dal marito. In seguito si occuperà di vendite in un negozio di mobili, abiterà da sola e aspetterà il momento per poter incontrare la giovane amante e chiederle di vivere con lei. Therese, sofferente per l’abbandono della donna, ha avuto la forza di cambiare la sua vita, decidendo di lasciare la mansione di commessa, e spinta dal coraggio della sua passione ha accettato l’incarico di fotografa per una testata giornalistica. Poi si incontrano, e sono libere nello scambio dei loro sguardi, ma Therese rifiuta l’offerta d’amore: il volo del falco continuerà ancora a librarsi nell’aria, ma per poco, poi atterrerà in picchiata, e la luce del suo occhio coglierà quella dell’altro, oltre le possibilità umane.
“L’uccello che si posa sulla testa della ragazza è il falco del re, un uccello cui in Oriente si riconoscono caratteristiche regali e divine. Sembra proprio che la ragazza venga prescelta dallo spirito per diventare la sposa del re. Nel contesto della nostra interpretazione, e mantenendo un punto di vista femminile su tutta la vicenda, dovremmo considerare il re come la rappresentazione di un’altra figura di Animus, […] qui si tratterebbe di una vera forza spirituale e non semplicemente di un elemento in contrasto con la vita femminile della donna.”(von Franz, 2009, p. 44).
Ma questa è solo la prima parte della fiaba...
Archive for Research in Archetypal Simbolism, Il libro dei simboli, Colonia, Taschen, 2011
Carol, T. Haynes, USA, 2015
J. Hillman, Saggio su Pan, Milano, Adelphi, 1977
C.G. Jung (1928), L’Io e l’inconscio, in Opere, Vol. VII, Torino, Boringhieri, 1983
M.-L. von Franz (1974), L’Ombra e il male nella fiaba, Torino, Bollati Boringhieri, 1995
M.-L. von Franz, L’Animus e l’Anima nelle fiabe, Roma, Edizioni Magi, 2009