La scelta difficile di diventare madre
di
Michela Marzano
IL TEMPO che passa inesorabile, la maternità che sfuma, niente figli, è troppo tardi, ci si doveva pensare prima, ma di che s’impiccia ora il governo, come si permette, cos’è quest’intrusione nella nostra vita, nella nostra sfera privata e intima? E allora sono bastate poche ore, e una pioggia di critiche, per ottenere il dietrofront del ministero della Sanità sul Fertility Day e convincere la ministra Lorenzin a ripensare completamente la campagna di prevenzione sanitaria sull’infertilità. Non perché il problema della denatalità non esista oggi in Italia, anzi. Semplicemente perché, prima ancora di parlare di fertilità e infertilità, forse sarebbe meglio chiedersi come sia cambiata la maternità in questi ultimi decenni, e interrogarsi sui motivi profondi che hanno fatto sì che tante donne di quaranta o cinquant’anni non abbiamo mai (o ancora) avuto figli. Non si dovrebbe d’altronde ricominciare proprio da lì, da ciò che significa oggi diventare madre che non è solo, o non più, fare figli, ma realizzare un desiderio, portare avanti un progetto di vita, sceglierlo e volerlo in modo consapevole (oppure anche decidere di lasciar perdere e di concentrarsi su altro)?
Un tempo, i figli arrivavano senza che le donne si ponessero troppe domande. Si facevano figli perché era così che facevano tutti; si facevano figli perché, dopo essersi sposati o aver cominciato a convivere, era ovvio, scontato, normale, automatico, naturale, biologico, anche quando non si lavorava ancora, forse non si sarebbe mai trovato un posto a tempo indeterminato. I figli li si facevano, punto e basta. Ma questo era prima, appunto. Poi le cose sono cambiate — il mondo, la cultura, le abitudini, le aspettative, i sogni, le esigenze, le ambizioni, i desideri. C’è stata la pillola e c’è stata la rivoluzione sessuale; c’è stata la realizzazione professionale e c’è stata l’autonomia femminile; c’è stato il desiderio di viaggiare e c’è stata la ricerca dell’amore. C’è stata, soprattutto, un’evoluzione del significato stesso della maternità.
La logica, oggi, non è più quella dell’avere figli, ma del diventare genitori, padri e madri responsabili che, al momento venuto, decidono, appunto, di fare della propria maternità o della propria paternità la realizzazione di un progetto di vita. E se poi non sono all’altezza del ruolo, non sono capace, sbaglio qualcosa? hanno cominciato a chiedersi tante ragazze, poi giovani donne, poi donne mature. Talvolta con l’illusione che il tempo non sarebbe mai passato — ora è meglio di no, meglio poi, avrò un lavoro sicuro, incontrerò la persona giusta, avrò i soldi per la casa, sarò maggiormente capace. Mentre il tempo passa inesorabile e, dopo un po’, è veramente troppo tardi.
Checché se ne dica, l’orologio biologico esiste — purtroppo esiste, inutile rigirare il coltello nella piaga, come hanno fatto gli ideatori della campagna pubblicitaria sul Fertility Day, è anche per questo che tante donne hanno reagito male, anzi malissimo, io per prima, c’era bisogno di buttare via tanti soldi per ricordarci quello che già sappiamo?
L’orologio biologico, dicevo, esiste. Esattamente come esistono le difficoltà della vita, le ambizioni frustrate, le relazioni che si sfasciano e i soldi che mancano per arrivare alla fine del mese. E poi non siamo cresciute un po’ tutte con l’idea che ci si sarebbe dovute prima di tutto realizzare professionalmente e che no, non avremmo fatto come mamma che è stata mamma e basta, oppure mamma e anche altro ma con tanti sacrifici, troppi, perché poi è sempre così, i padri scaricano le responsabilità e sono sempre le donne a dover pensare a tutto, la scuola e la ginnastica, i corsi di lingua e le vacanze, i vaccini e i cambi di stagione — la famosa lista delle cose da fare, che poi possono anche essere fatte dai padri, ma se non sono le madri a redigerla questa benedetta lista, chi se ne occupa?
Prima il lavoro, quindi, magari ben retribuito perché altrimenti chi la paga la baby sitter o l’asilo nido privato visto che i posti nel pubblico sono pochissimi. Prima la certezza di essere all’altezza del ruolo materno, quindi — questo si fa, questo invece no, questo si dice questo non si pensa nemmeno, con tutte quelle “madri perfette” che aprono blog e danno consigli, criticano, talvolta colpevolizzano anche. Prima la persona giusta, quindi. Tanto c’è tempo, no? Prima di rendersi conto che il tempo è scaduto. Oppure no, ma i figli non arrivano, magari si è sterili, magari è sterile il marito o il compagno, magari si è omosessuali, e le file d’attesa per una procreazione artificiale sono lunghe, fino a poco fa l’inseminazione eterologa era vietata, una coppia omosessuale continua a non averci accesso.
Il problema della denatalità non lo si affronta con campagne pubblicitarie inopportune e imbarazzanti. Il non avere figli è un sintomo profondo, è il segnale del fatto che diventare madre è uno dei tanti desideri che si possono avere o meno, una delle tante scelte che si possono o meno fare, ma anche, talvolta, un desiderio profondo che non si realizza mai, una di quelle cose che sembravano evidenti quando si era piccole e che poi non capita, non accade, talvolta senza rendersi bene conto del perché. Come tanti desideri che ci si porta dentro e che non si realizzeranno mai, a volte si è persa l’opportunità, altre volte non ci si è accorti del tempo che passava, altre volte ancora, forse, non era poi veramente un desiderio.
M. Marzano, La scelta difficile di diventare madre, in «La Repubblica» 3 settembre 2016, p. 31.